LONG COVID: una condizione di malessere fisico, fisiologico e psicologico

 

Sono quasi due anni che televisione, radio, giornali e siti internet parlano e scrivono della COVID-19.

In questo periodo sono stati studiati i modi di diffusione della malattia, sono stati definiti i metodi di distanziamento, di igienizzazione delle mani e degli spazi di vita quotidiana. Sono state individuate delle cure per il trattamento delle manifestazioni sintomatologiche che la malattia comporta, ma solo ora si cominciano a raccogliere informazioni sulle conseguenze che l’infezione virale ha causato in chi ne è stato colpito.

Molte persone che in questo lungo periodo di pandemia hanno contratto la malattia da Sars-Cov-2 hanno manifestato dei disturbi anche dopo essere risultati guariti dalla COVID-19.

I sintomi prevalentemente riportati interferivano con il recupero dello stato di salute ottimale, dell’attività lavorativa e della socialità.

Per tale motivo la comunità scientifica ha ritenuto opportuno conseguire degli studi su questo fenomeno ed ha constatato che per alcuni soggetti la COVID-19 può determinare una serie di disturbi e sintomi che permangono anche dopo la fase acuta.

Tali sintomi sono eterogenei e possono andare da manifestazioni generali quali la fatica persistente, la stanchezza eccessiva, la debolezza muscolare, la percezione diffusa di dolori; a manifestazioni organo specifiche che possono coinvolgere organi ed apparati; a manifestazioni di tipo psicologico con disturbi d’ansia, disturbi da stress e somatizzazione, disturbo post-traumatico da stress (PTSD) o disturbi depressivi

È stata così definita LONG COVID questa fase di malessere post COVID-19.

Ritenendo il LONG COVID come una condizione di malessere fisico, fisiologico e psicologico che comporta conseguenze sulla quotidianità e sulla socialità delle persone, sono stati pensati degli interventi al fine di favorire il recupero del soggetto. Qualora la sintomatologia coinvolgesse le manifestazioni organo specifiche è necessario coinvolgere i professionisti specializzati alla cura e al trattamento del disturbo presentato. Qualora invece, si trattasse di sintomi psicologici o che coinvolgono le manifestazioni generali è possibile trattare il soggetto con tecniche di riabilitazione psicoterapeutiche e psicofisiologiche specifiche.


Le manifestazioni cliniche generali riportate in precedenza possono essere ricondotte alla Sindrome Generale di Adattamento (SGA) studiata da Hans Selye nel 1936. Secondo cui quando il soggetto viene esposto ad una fonte di stress sia esso fisico, psichico o ambientale, il suo organismo attiva delle risposte di adattamento che gli permettono di riportare quanto prima il sistema nella condizione di equilibrio interno (omeostasi). La risposta dell’organismo sarà diversa a seconda della durata e dell’intensità dello stimolo stressogeno. Se lo stress è determinato da uno stimolo acuto la risposta di recupero dell’organismo sarà veloce e verrà ristabilita la condizione di normalità nel breve periodo. Se però la fonte di stress è prolungata nel tempo (es. una malattia, condizioni lavorative insoddisfacenti, ecc), il sistema di risposta allo stress attiverà tutta una serie di reazioni autonomiche e ormonali di iperattivazione che possono comportare condizioni di esaurimento psicofisico (stanchezza persistente, senso di fatica, debolezza muscolare, affanno, palpitazioni, disturbi del sonno, brain fog, tachicardia, ansia, basso tono dell’umore, ecc) che, a loro volta, rallentano o bloccano la fase di recupero. In quest’ultimo caso diventa necessario ripristinare la capacità adattiva dell’organismo con tecniche di riequilibrio psicofisiologico.


Interrompere il circuito negativo dello stress è possibile attraverso delle tecniche che agiscono sul funzionamento del Sistema Nervoso Autonomo. Tale sistema è il principale strumento di regolazione di tutte le funzioni automatiche del nostro corpo che vanno dalla digestione, alla respirazione, alla regolazione del battito cardiaco, all’andamento pressorio, alla regolazione della temperatura corporea. Un’iperattivazione del Sistema Nervoso Autonomo comporta un aumento del battito cardiaco, un altrettanto aumento della pressione, una respirazione superficiale ed accelerata, una vasocostrizione periferica e difficoltà digestive. Tutti questi fattori possono nel lungo periodo portare il soggetto allo sviluppo di sintomatologie che condizionano la qualità di vita, lo stato di benessere generale e la capacità di adattamento all’ambiente interno ed esterno in costante mutamento (capacità allostatica).

Tra le tecniche di riequilibrio possibili vi sono le tecniche di rilassamento, le tecniche di respirazione ed interventi di biofeedback. Tutti questi strumenti permettono all’organismo di ritrovare l’allentamento della tensione, lo stato di calma e di serenità ed una condizione di benessere generale.

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